Sea Adventure associazione gommonautica sportiva dilettantistica
affiliata al C.S.I. (Centro Sportivo Italiano)

Raid Expo '98

Finalmente siamo pronti a partire! Nonostante gli inevitabili intoppi, ultimo dei quali il non arrivo in tempo utile del libretto del motore, siamo a bordo del King 600 pronti a mollare gli ormeggi.

1° tappa Venerdì 19/06: sono le ore 18.00 quando entriamo nel porto di Alassio per il rito della partenza; ad attenderci le massime Autorità della bella cittadina ligure, oltre naturalmente a Bernardino Bosio, sindaco della nostra città, Acqui Terme, che anche quest'anno ha voluto essere dei nostri. Tra filmati, scambi di targhe ricordo ed " in c... alla balena " passa più di un'ora; poco male tanto non dobbiamo percorrere che poche miglia per arrivare a Diano Marina dove passeremo la notte. Mentre ci allontaniamo lentamente dalla banchina un ombra di tristezza si fa largo nella mente, non possiamo fare a meno di pensare al tragico lutto che è avvenuto pochi giorni prima durante la manifestazione di Ferrara. Quello che doveva essere un momento di allegria ed aggregazione si è tragicamente trasformato in tragedia. Lungi da noi l'idea di colpevolizzare qualcuno però, ci sembra che in questi ultimi tempi si stia eccedendo un po' troppo nella quantità di cavalli installati sugli specchi di poppa di tanti gommoni. Non è certo dalla potenza esibita che si può apprezzare un buon gommonauta ma, piuttosto, da una giusta accoppiata tra imbarcazione e motore. Credetemi, l'adrenalina sale molto di più quando si porta a termine una lunga tappa d'altura che non correndo a 50 nodi. Finito, scusate lo sfogo ma non ho potuto farne a meno! Questa volta grazie all'entusiasmo dei titolari della Nuova Jolly abbiamo potuto ritirare il gommone del raid, un King 600, già completo di propulsore, e che propulsore; il nuovissimo Suzuki DF 70 a quattro tempi. Già ci sembra di sentire il classico discorso da banchina: ma come cavolo si fa a montare un motore di soli 70 hp, e per di più a quattro tempi, su un gommone che pesa almeno 600 kg a secco!! Niente di più sbagliato, provare per credere; comunque, noi di Sea Adventure la pensiamo così e vogliamo provarlo sul campo. Tre sono i fattori che ci hanno portato a questa soluzione: primo, non vogliamo fare la corsa con nessuno, per questo c'è l'Endurance; secondo, crediamo fermamente nella tecnologia e nell'ecologia dei fuoribordo a quattro tempi; terzo, cerchiamo di essere il più rispettosi possibile dell'ambiente marino. Che ci crediate o no, il King con il Suzuki 70 lo abbiamo provato soltanto il giorno della partenza, però, se sorpresa doveva esserci, questa è stata assolutamente positiva in quanto il motore ha dimostrato di far planare il regale bestione in soli 4 secondi e di fargli raggiungere i 28 nodi di velocità massima. Certo che motorizzato con un Suzuki EFI da 150 hp il King fila davvero come un treno; beh, forse di questi tempi il paragone con il treno non è azzeccatissimo. Come sempre in questi anni abbiamo cercato di trovare una giusta accoppiata che avesse caratteristiche ancora "umane", sia nelle dimensioni del mezzo, sia come potenza del propulsore e, scusate l'immodestia, crediamo di esserci ancora una volta riusciti. 

2° tappa: partenza vera con destinazione Cavalaire sur Mer; abbiamo scelto questa località per due buoni motivi: primo, non vogliamo sottoporre il motore a troppo stress in quanto sono le sue primissime ore di moto; secondo, il porto è fornito di ottime infrastrutture ed è ubicato in una posizione strategica per un'eventuale taglio del Golfo del Leone. Sosta tecnica per il rifornimento a Imperia, dove il gentilissimo gestore della pompa c'informa che il carburante è sempre disponibile, in casi eccezionali anche la notte, previo telefonata; chi si aggira da queste parti può dormire tra due guanciali. La navigazione si svolge in maniera ottimale sino a Cannes dove subiamo la prima avaria, il Geonav 6, infatti, smette di funzionare di colpo; un veloce controllo porta alla luce un problema di alimentazione dovuto alla rottura del fusibile del filtro stabilizzatore. La causa del guaio sta nella stampigliatura del fusibile stesso che, pochissimo leggibile, risulta essere da 2 invece dei 5 A previsti. Veloce sostituzione e nient'altro da segnalare sino alla meta. 

3° tappa: partenza alle 08.30 ma il distributore del carburante è ancora chiuso, poco male il rifornimento lo faremo più tardi a Porquerolles. Mentre navighiamo verso l'isola ripassiamo mentalmente il meteo che abbiamo appena consultato e che così recitava: vento da SW da 10 a 15 nodi, mare forza 2-3, visibilità scarsa causa foschia, rinforzo del vento, sempre da SW, nel tardo pomeriggio con aumento del mare da forza 4 a 6 sul versante spagnolo. Non sappiamo proprio cosa fare; perdere l'occasione di tagliare il golfo con un sol bordo è una cosa che ci rode parecchio, d'altra parte andare là in mezzo e poi trovarsi nei guai non è certo una cosa simpatica. Mettiamo ai voti e, per due a zero, prevale la mozione del taglio. Un'occhiata all'orologio, sono le 09.15, un ultimo controllo agli strumenti di bordo, tutto sembra O.K. si può partire. Lasciamo Porquerolles con rotta su Port Llanca, ovvero, la Spagna. Sono circa 135 miglia di navigazione in una delle zone più infide di tutto il Mediterraneo, speriamo in bene! Gli strumenti di navigazione non ci mancano, infatti, oltre al cartografico Geonav 6 abbiamo un LCD 7, un portatile Magellan Pioneer ed una bussola Riviera mod. Zenith. Perché ben tre GPS ? Per prova, vogliamo verificare la precisione e la robustezza di questi apparati compreso il bel VHF portatile Midland mod. 78/211. Passano le prime due ore e tutto sembra andare per il meglio; chissà, magari di Domenica il Leone riposa fino a tardi e poi, questa volta, al re della foresta possiamo opporre il King che è di certo un re del mare. Passa anche la terza ora e all'orizzonte si comincia ad intravedere la foschia promessa dalle previsioni; questi francesi con il meteo ci azzeccano davvero. In pochi minuti la visibilità si riduce ad una cinquantina di metri ma noi continuiamo a viaggiare sui 17/18 nodi, tanto nella zona in cui siamo sugli scogli non ci finiamo di sicuro. Scherzi a parte, l'unico pericolo per noi è costituito dall'abbordo con un'altra imbarcazione ma la foschia che si alza e si abbassa in continuazione ci offre una visibilità che ci consente di proseguire in tutta sicurezza. E' una sensazione stranissima e al tempo stesso bellissima, quella che si prova guardando in alto e vedendo milioni di goccioline sospese sulle nostre teste; foschia o non foschia, l'importante è che vento e mare si mantengano così. Alle 14.30 sosta tecnica per bisogni impellenti e per un piccolo spuntino, il tutto naturalmente senza spegnere il motore; abbiamo una fiducia cieca nel Suzuki ma non si può mai sapere! Passano altre due ore abbondanti, sono ormai quasi otto ore da quando siamo partiti da Porquerolles, un mezzo sorriso ci viene spontaneo, sta a vedere che ce la facciamo senza tribolare; ben presto però il sorriso si spegne a causa di un bel rinforzo di vento da SW, che si trasforma subito in un movimento ondoso proprio in direzione del nostro mascone di sinistra. Da 4 a 6 diceva il meteo ed il 6 ora ci sta proprio tutto; l'onda secca e ripidissima ci fa saltare parecchio mentre la violenza del vento finisce l'opera bagnandoci per bene. E' davvero un brutto momento che però passa in un attimo allorché, dritto di prua, cominciamo a scorgere le alture di Cap Bear. Un'esclamazione di gioia esce spontanea, anche se dobbiamo ballare ancora un po', ormai ci siamo. Sono le 18.30 quando arriviamo a ridosso della costa, il mare si è un pò calmato e siamo ormai a sole tre miglia dall'agognata meta. Fine dell'avventura? Certo che no! Improvvisamente il motore si spegne. Porc.. Siamo abbastanza vicini alla riva e l'onda ci sta portando dritti sugli scogli. Un attimo di smarrimento poi, come sempre quando si è messi alle strette, il cervello comincia a lavorare a velocità incredibile; spremo la pompa del carburante; è vuota, perciò non arriva benzina al motore. Diagnosi velocissima: tubazione interrotta o elettrovalvola? Opto per l'elettrovalvola, entro fisicamente nel gavone di poppa, stacco il condotto della pompa di aspirazione dei gas (Blower), aziono il rubinetto di by-pass dell'elettrovalvola, pompo e la tubazione come per incanto si riempie. Un attimo ed il Suzuki fa risentire la sua voce; tutto risolto, si è soltanto sporcata l'elettrovalvola, niente di preoccupante. Non faccio in tempo a cancellare questo pensiero che il gioiello nipponico tace nuovamente! Non posso trascrivere le imprecazioni perché non fa fine, ma potete credermi sulla parola che erano decisamente colorite. Mi rituffo velocemente nel gavone, un augurio non proprio benevolo a chi ha fatto installare l'elettrovalvola in quella posizione, poi, con uno sforzo disumano, riesco ad infilare la mano nello stretto foro d'uscita della tubazione e mi accorgo che il raccordo dell'elettrovalvola si è allentato e che lascia entrare aria nel circuito. Nuovo pompaggio e nuovo riempimento della tubazione. Questa volta il guasto l'ho trovato davvero ma lo spazio a disposizione della mano è talmente esiguo che non riesco a stringere con forza il raccordo quindi non mi resta che rimanere in quella posizione e sperare che il carburante continui a passare. Navighiamo così sino al porto, Giacomo al timone ed io nel gavone impegnato a tenere stretto il raccordo. Alla sera mentre diamo l'assalto a una mega "paella de mariscos", tiriamo i conti della giornata: poco più di 10 ore di navigazione per il più largo taglio al Golfo che abbia fatto; c'è veramente di che essere soddisfatti. Certo che se il problema all'elettrovalvola si verificava una mezz'ora prima sarebbe stato veramente un casino. 

4° tappa: lascio Giacomo a dormire e vado al porto per tentare una riparazione definitiva al problema che tanto ci ha angustiato ieri. Fortunatamente le viti che fissano il coperchio del vano serbatoio al pagliolo si allentano facilmente ed in poco tempo riesco ad arrivare al famoso raccordo, causa dei nostri guai. Una chiave da 19 ed una lunga pinza "et voilà" riparazione effettuata. Rimetto le cose a posto, poi un salto in banca per cambiare un po' di lire in pesetas. Nonostante la grande scritta "No commission for change" che troneggia sulla vetrata esterna della banca, mi vedo appioppare un costo di commissione di ben 1670 pesetas, equivalenti a circa 20.000 lire. Alle mie rimostranze il bancario mi spiega che la commissione è applicata solo per i cambi superiori alle 100.000 pesetas. Dopo avergli contestato che sul cartello non c'è scritto niente di simile, gli rifaccio fare i conteggi facendomi cambiare 99.990 pesetas e spiegandogli "che il più stupido del mio paese, suona il violino andando in bicicletta". A causa dei sopra descritti contrattempi, partiamo decisamente tardi ma non ci sono problemi, tanto oggi la meta è la vicina Estartit; prima di entrare in porto facciamo un giro attorno alle isole Medas che sono situate a mezzo miglio dal porto. Le Medas sono sede uno dei più antichi e conosciuti parchi marini d'Europa, visitato ogni anno da migliaia di subacquei che, naturalmente danno grande impulso all'economia locale. Nonostante il grande via vai di gente e di barche e grazie al continuo controllo operato dai custodi, la flora e la fauna sottomarina abbondano a tal punto da richiamare come termine di paragone addirittura il mar Rosso. Sarebbe opportuno che prima di istituire tanti ed inutili parchi marini, i politici e gli ambientalisti nostrani esaminassero con molta attenzione esempi come questo o il parco francese di Port Cros. Serata davvero splendida, siamo seduti ad un tavolo fuori con le luci che illuminano il porto, stiamo mangiando pesce come da noi forse non esiste più e cucinato in maniera superba. E' proprio vero il detto "Non ci vuole niente a star bene". Una luce di soddisfazione illumina il volto di Massimo quando gli facciamo dono della copia de "IL Gommone" dello scorso anno nella quale abbiamo giustamente lodato la sua cucina. Come tutte le cose belle, la serata termina in un baleno; non ci resta che salutare l'amico e la sua compagna con la promessa di ritrovarci l'anno prossimo. Se vi capitasse di passare da queste parti sarà meglio che prevediate una sosta al ristorante Les Salines, ne vale veramente la pena. Partiamo da Estartit alle 08.30; mentre ci allontaniamo dal porto gettiamo un'ultima occhiata nostalgica alle Medas, poi giù la manetta e via alla volta di Tarragona. Dopo pochi minuti di navigazione avvistiamo un windsurf solitario e disalberato alla deriva; dato che costituisce un pericoloso intralcio alla navigazione, lo tiriamo a bordo e lo consegniamo a terra a due pescatori che rimangono alquanto scettici davanti all'oggetto recuperato. Ripartiamo ma evidentemente è giornata di recuperi, infatti, poco prima di Barcellona Giacomo avvista un grosso parabordo che in un baleno viene issato a bordo e diventa subito parte integrante delle dotazioni di bordo. Sosta d'obbligo a Barcellona per un panino ed una breve escursione nella pittoresca "Rambla" poi prua su Tarragona. Sono ormai le 19.00 quando entriamo nell'immenso porto commerciale di questa città; è la prima volta che ci fermiamo e dobbiamo girare un bel po' prima di riuscire a capire che il porto turistico è stato da poco trasferito all'esterno di quello commerciale. I prezzi dell'ormeggio sono veramente economici, in netto contrasto con la squisita cortesia degli impiegati e dei marinai, e questo non fa che aumentare il nostro rammarico per certe situazioni portuali tipicamente "italiane". Dobbiamo attraversare un bel pezzo di città prima di trovare un hostal con una camera libera perché oggi è il 23 Giugno ovvero la notte di S. Giovanni e qui si fa fiesta in grande stile; visto che è anche il mio onomastico, non ci resta che fare uno sforzo e adeguarci. Quello che succede dalle 22.00 a mattina inoltrata è veramente roba da pazzi; si comincia nella via principale della città, dove almeno un migliaio di persone spara botti a tutto spiano mentre nella piazza prende forma un corteo formato da sette gruppi capeggiati da raffigurazioni in carta pesta che simboleggiano le divinità malvagie da cui la popolazione deve liberarsi. Ognuno di questi gruppi è composto di una cinquantina di giovani, metà dei quali danzano attorno alla divinità e con la quale ingaggiano una furiosa battaglia a base di mortaretti dalla potenza inaudita mentre la restante metà del gruppo, munita di tamburi, detta il ritmo delle danze. E' uno spettacolo veramente trascinante e di grande suggestione, al quale non c'è proprio possibilità di sottrarsi, e per questo riusciamo ad andare a dormire soltanto al levar del sole.

5° tappa: riusciamo a partire solo alle 11.00 con ancora un sonno pazzesco, meno male che il mare è buono altrimenti sarebbero stati davvero cavoli acidi. Oggi tappa breve sino a Vinaroz per riabbracciare gli amici Eduardo ed il pescatore Morgan. Un breve salto alla Kanase per portar via un po' di penne a sfera personalizzate al laser con la scritta del raid poi serata in un ristorante argentino dove pensiamo di aver dato un notevole saggio di quello che potrebbero mangiare quattro naufraghi a digiuno da parecchi giorni.

6° tappa: lasciamo gli amici con la promessa che ci verranno a trovare durante il Salone di Genova e puntiamo su Gandia, località balneare a un centinaio di miglia da Vinaroz. Il mare è buono, gommone e motore vanno che è una meraviglia, così la tappa si trasforma in una magnifica passeggiata. 

7° tappa: oggi cercheremo di arrivare a Mazarron e da quello che promette il mare dovremmo proprio farcela. Ci vogliono otto ore abbondanti per raggiungere la meta ma soltanto la vista dell'isolotto pieno di gabbiani che sorge davanti all'imboccatura del porto di Mazarron vale già il viaggio. La pompa del carburante è posta proprio all'ingresso del porto e ne approfittiamo per fare subito il rifornimento perché qui, come in buona parte della Spagna, "magnana por la magnana" ovvero la mattina presto non si muove foglia. Prendiamo alloggio all'hotel Bahia un ottomi albergo con tanto di spiaggia privata dove una camera doppia costa intorno alle 60.000 lire a notte (quasi come in Liguria) poi andiamo a cena al ristorante El Caldero dove abbiamo la gradita sorpresa di ritrovare Maria, il simpaticissimo gabbiano di cui avevamo già parlato in occasione del raid Canarie 96. Come ormai d'abitudine Maria si presenta al ristorante per ora di cena, cena che gli viene subito servita sotto forma di un piatto di sarde e che lei fa fuori in un attimo. Terminato il pasto compie un piccolo volo per poi posarsi delicatamente sul tetto dell'auto del padrone del ristorante, da dove segue con interesse tutti i movimenti dei commensali. Vedere un gabbiano che cena al ristorante non è certo cosa da tutti i giorni e sono proprio scene come questa che possono aiutare a dimenticare gli stress della vita quotidiana.

8° tappa: lasciamo Mazarron cercando di riconoscere Maria in un turbine di gabbiani in volo, poi manetta sui 4500 giri e prua su Marina dell'Este. E' passato da poco mezzogiorno e ci troviamo circa un miglio al traverso di Puerto san José; il richiamo di due boccadillos (panini) e di qualcosa di fresco da bere diventa irresistibile, così viriamo velocemente di bordo in direzione del porto. Mentre ci avviciniamo a terra qualcosa che si muove sulla superficie dell'acqua attira la nostra attenzione; non è possibile, un serpente di mare sta lentamente nuotando a pelo d'acqua verso di noi. Fuori a tutta velocità la Nikon con la remota speranza di poterlo fotografare. Speriamo che non s'inabissi subito e ci lasci il tempo di scattare due foto! Come se avesse raccolto le nostre preghiere il serpente, per nulla intimorito dalla nostra presenza, continua a nuotare verso la nostra imbarcazione. Non avrà mica intenzione di salire a bordo? Non sapremo mai se lo avrebbe fatto perché, ricordando che gran parte dei serpenti marini sono parecchio velenosi, mettiamo velocemente in moto e lo lasciamo al suo destino. Un incontro di questo genere però non c'era mai capitato prima. Sono le 18.30 quando arriviamo a Marina dell'Este graziosissimo porticciolo a poche miglia dalla città di Motril. Non ci sono hotel nelle vicinanze del porto ma, grazie alla gentilezza dell'impiegato del marina, ci viene affittato uno splendido appartamentino, che ci offre la possibilità di lavare un po' del vestiario che si è accumulato nei giorni precedenti. Mano al bucato dunque perché anche questo è raid! Mentre ci vediamo in differita una partita della nazionale azzurra impegnata nel mondiale francese, tiriamo un bilancio di quello che si è fatto sinora e di quello che ancora ci aspetta: otto giorni di navigazione effettiva per un totale di oltre 800 miglia percorse; motore, gommone ed accessori si comportano in modo perfetto e domani, se tutto va bene, passiamo Gibilterra ed entriamo in Atlantico; cosa si può chiedere di più alla vita. 

9° tappa: in attesa dell'arrivo della simpatica signora cui dobbiamo pagare l'affitto dell'appartamento, scattiamo un po' di immagini dalla rocca che si erge a protezione naturale del porto; non ci sono dubbi, è un luogo veramente incantevole. Si parte con rotta sul pittoresco porto di Benalmadena che voglio proprio far vedere a Giacomo. Un discreto vento di NE non ci impedisce di arrivare in questa turisticissima località per l'ora di pranzo, pranzo che consumiamo in quello che crediamo sia uno dei più economici self service del mondo, si può mangiare a volontà con 825 pesetas (9900 lire). Ripartiamo da Benalmadena alle 15.00 con l'immagine dello stretto ben visibile sullo schermo del Navionics; tra circa tre ore saremo davanti alle mitiche Colonne d'Ercole dove, alla prima esperienza di navigazione atlantica di Giacomo, si contrapporrà il mio terzo ingresso oceanico da gommonauta. Come sempre durante l'avvicinamento a Gibilterra assistiamo alle acrobatiche evoluzioni dei delfini che questa volta sono divisi in cinque gruppi, poi avvistiamo una placida tartaruga che nuota in superficie ed infine, uno dietro l'altro, sei pesci luna che riposano a pelo d'acqua. Anche questa volta il mare dello stretto non ci ha deluso. Man mano che la rocca diventa più visibile anche il vento da SW rinforza tanto che davanti all'imboccatura ci troviamo sulla prua un mare piuttosto agitato. Sù il giubbotto imbottito e via, ma non facciamo in tempo ad abbassare la manetta che un colpo di sirena risuona alle nostre spalle. Ci voltiamo all'indietro e vediamo due grossi gommoni, neri come la notte, che ci stanno inseguendo. Fermi tutti, con gl'inglesi dell'antimmigrazione non c'è proprio da scherzare! Mentre si avvicinano slego le bandiere (italiana e spagnola) che in precedenza avevo avvolto sul tientibene perché non ci sbattessero sul naso a causa del gran vento e, alla vista del tricolore e delle scritte del raid, i guardiani dello stretto ci danno subito il via libera. Non ci hanno chiesto neppure i documenti personali, magari fosse così anche da noi; riprovo ad abbassare la manetta e questa volta possiamo davvero inoltrarci nello stretto. Un mare di prua ben formato rifila continue botte sui masconi del King che la pur ottima carena riesce soltanto in parte a neutralizzare, mentre le furiose raffiche di vento operano una metodica quanto gelida azione di lavaggio nei nostri confronti. Attraversiamo così il profondo Golfo di Algeciras con il mare che ribolle come in una pentola ma la cosa non dovrebbe durare a lungo perché, vista la direzione del vento, man mano che ci si addentra nel canale il moto ondoso dovrebbe diminuire; così è infatti, e già mezz'ora dopo le cose vanno decisamente meglio. Siamo circa a metà dello stretto quando veniamo nuovamente intercettati, questa volta da una grossa motovedetta della Policia spagnola, che si avvicina per un controllo. Anche questa volta basta la visione della bandiera italiana e delle scritte del raid per dissipare ogni dubbio anzi, visto che dirigiamo su Tarifa che è anche la loro base, ci scorteranno sino alla meta. Sono le 19.30 quando, al seguito della motovedetta, entriamo in porto. Ci basta un'occhiata per renderci conto che questo è soltanto un porto peschero, non si vede, infatti, neanche l'ombra di una barca da diporto. Vista la nostra indecisione il comandante della motovedetta fa segno di avvicinarci e, quando siamo a tiro di voce, ci chiede dove abbiamo intenzione di passare la notte. Bella domanda, rispondo io; il poliziotto si mette a ridere e ci offre di ormeggiare al fianco della sua imbarcazione avvertendoci che, e fa un eloquente gesto con la mano, sarebbe opportuno svuotare il gommone di tutto ciò che può essere asportabile. Giacomo mi guarda allarmato, a bordo di roba asportabile c'è l'equivalente del carico di un TIR. Domando allora quale sia il prossimo porto fornito di Club Nautico e lui mi risponde "Barbate". Quanto dista? 11-12 miglia. Ringraziamo e ripartiamo velocemente in direzione di Barbate. La zona di mare che si trova appena fuori dello stretto, probabilmente a causa del repentino rialzo dei fondali, è soggetta a fenomeni di vortici che si notano soprattutto quando il mare è poco mosso come lo è ora e che incutono un certo timore soprattutto a chi naviga a bordo di piccole imbarcazioni. Le miglia per entrare a Barbate sono almeno il doppio di quelle previste ed arriviamo in porto soltanto quando la luce del sole è ormai un lumicino. Il posto è certamente ben sorvegliato, infatti, la prima persona che si avvicina a noi è il guardiano notturno che ci indica l'ormeggio; la denuncia di arrivo la compileremo domani. Abbiamo ancora un -piccolo- problema da risolvere; il paese si trova a circa due km e a quest'ora non ci sono più né autobus né taxi ma anche questo è raid. 

10° tappa: per recuperare le fatiche del giorno precedente, dormiamo sino alle 08,30, poi, con l'aiuto di un taxi torniamo al porto da dove, espletate le formalità e riempito il serbatoio, partiamo in direzione di Puerto de Rota. Pochi minuti di navigazione e siamo al cospetto di Cabo Trafalgar; qui, nell'Ottobre del 1805 si è svolta una delle più importanti battaglie navali della storia: la flotta inglese composta da 27 navi e guidata dal famoso ammiraglio Horatio Nelson attaccò la flotta alleata franco/spagnola, forte di ben 33 navi, al comando dell'ammiraglio Villeneuve, distruggendola. Soltanto nove delle navi alleate riuscirono a rientrare a Cadice con la perdita di 4000 uomini mentre la flotta inglese non perse alcuna nave e lamentò la perdita di soli 500 uomini tra i quali, purtroppo, lo stesso ammiraglio Nelson. Grazie all'onda lunga e all'assenza di vento percorriamo le 34 miglia che ci separano da Rota in meno di due ore e alle 12.00 in punto possiamo farci un aperitivo nel bar del porto. Prima di risalire a bordo diamo un'occhiata alla fornitissima vetrina della locale cooperativa del pesce: spigole, orate e dentici costano meno di 1000 pesetas al kg (11.500 lire) mentre seppie e calamari costano sulle 9000 lire. Non possiamo fare a meno di pensare alla felicità di una qualsiasi massaia nostrana alla vista di tutto questo ben di Dio venduto a questi prezzi. Si riparte con rotta su San Carlos de Barrameda ovvero sulla foce del fiume Guadalquivir dove contiamo di fare una piccola sosta e girare qualche immagine sul pittoresco relitto della nave spezzata. Mezz'ora dopo siamo davanti alla tangibile prova che il mare sa essere anche duro e spietato, basta dare soltanto uno sguardo ai due tronconi di questo relitto per potersene rendere conto. Mentre cerchiamo di portarci dall'altro lato per avere una luce più favorevole, il Suzuki si spegne di botto. Che sia la maledizione del relitto? Basta uno sguardo al motore per capire che la causa è molto più terrena, infatti, attorno al piede c'è una collana di pesante cavo di nylon contornata da una bella rete a trama fine. Ah, i bracconieri! Visto che per un raggio di almeno 500 metri è vietata ogni tipo di pesca, qualcuno ha pensato bene di posare una rete a pelo d'acqua senza segnali visibili. Il mezzo marinaio ed un coltello affilatissimo risolvono in un attimo la situazione; non abbiamo molta simpatia per chi si comporta in questo modo, quindi, abbondiamo nell'uso del coltello in modo da produrre il maggior danno possibile alla rete e poi ripartiamo con la convinzione di aver compiuto la nostra buona azione quotidiana. Meta della giornata Mazagon, località vicina al confine portoghese, dove arriviamo intorno alle 17.00; anche qui grande disponibilità da parte del personale del porto che ci prenota anche la camera d'albergo. La sorpresa più interessante di questa sosta c'è venuta dall'incontro con il proprietario del ristorante Pulcinella, con un nome così in circolazione dove volevate che andassimo a cenare? Il simpaticissimo Mario Zinco ci offre un'accoglienza come solo i partenopei sanno fare oltre, naturalmente, ad una pizza i cui sapori ci riportano letteralmente a casa. 

11° tappa: quasi senza accorgercene passiamo il confine portoghese, la prima parte della costa è abbastanza anonima se si eccettuano i grandi banchi di sabbia che rendono precaria la navigazione nella zona di Aymonte ma ci basta doppiare Cabo de Santa Maria, per trovarsi in un'esplosione di rocce, grotte, pinnacoli e minuscole spiagge; in una sola parola, l'Algarve. E' uno spettacolo che non si può descrivere e anche la macchina fotografica non riesce a rendere giustizia alla splendida realtà. L'impressione visiva è che qualcuno abbia preso delle piccole montagne rocciose e le abbia scagliate in acqua; tutto questo dura sino alla grande insenatura naturale che forma il porto di Portimao. E' la nostra prima tappa portoghese e, alle solite problematiche giornaliere di un ormeggio sicuro, del rifornimento di carburante ecc, qui si aggiunge la lingua e, data l'ora tarda, la mancanza di moneta locale. Per la prima risolviamo con un misto di spagnolo/italiano che funziona a meraviglia mentre il problema " grana " è risolto alla grande da un comunissimo Bancomat. Tutto bene; beh non proprio, manca la pompa del carburante ma è un problema che risolveremo domani. 

12° tappa: causa una cattiva informazione avuta al porto saltiamo il porto di Lagos per far rifornimento a Sagres. E' un grave errore perché in quest'ultima località troviamo solo gasolio e il tentare di arrivare sino a Sines, tappa di giornata, con la benzina che abbiamo a bordo è un rischio troppo grande. Chiedendo informazioni sulla "gasolinera stradale", ci viene laconicamente spiegato che si trova "non troppo lontano". Lontano o non lontano, non ci sono alternative, almeno una ventina di litri dobbiamo scovarli. Lascio Giacomo a guardia del gommone e mi avvio con la tanica su per la salita che porta alla statale dove si trova l'agognata pompa. Arrivato in cima mi trovo dinnanzi ad un incrocio e per sapere quale strada prendere, chiedo lumi a tre persone sulla sessantina che stanno animatamente discutendo dei mondiali di calcio. La risposta è "alla derecha", così mi avvio ma fatti pochi passi uno del trio mi chiama a gran voce e mi fa segno di aspettare perché mi accompagnerà con la sua auto. Tento debolmente di dissuaderlo ma è già salito in auto e così non posso fare a meno di accettare il passaggio; è una vera fortuna perché il distributore si trova almeno a due chilometri dal porto e, se l'andata poteva essere dura, non voglio pensare al ritorno con il carico di 25 litri di super. Non so come fare per ringraziare il mio salvatore, non vuole accettare né soldi né altro per il suo disturbo; così, ritornati presso il gommone dove nel frattempo si era radunata una piccola folla con tanto di poliziotto, gli scatto una bella foto ricordo che gli consegnerò di persona, la prossima volta che passerò per il Portogallo. Come spesso succede in questi casi, si inizia con un problema e si finisce con un nuovo amico. Ripartiamo da Sagres con la ferma convinzione di ritornarvi. Appena doppiato Cabo S. Vicente un vento sui 35 nodi ed il conseguente stato del mare ci riportano velocemente alla dura realtà del navigante; è una vera fortuna che la nostra rotta coincida con il traverso delle onde, se l'avessimo di prua o peggio di poppa, sarebbe un bel problema; dopo un po' di tempo ci abituiamo al ballo e, visto che il gommone si comporta in maniera splendida, diventa persino divertente slalomare tra le onde; certo non bisogna esagerare con onde di questa portata, l'Atlantico è ben diverso dal Mediterraneo, e qui non ci vuole molto a scavarsi " la fossa ". Per fortuna dopo un paio d'ore il vento comincia a calare e la navigazione diventa più tranquilla. Entriamo nel porto di Sines con il mare ormai quasi completamente calmo; il porto è diviso in tre parti, lato sinistro riservato ai pescherecci, lato destro dedicato al diporto, nel mezzo una spiaggia di sabbia chiara che dire bella è dir poco. A far da contorno alla bellezza del luogo c'è la cordialità e la simpatia dei responsabili del porto che ci gratificano di una vera e spontanea amicizia. Non potevamo certo trovare posto migliore per l'ultima tappa e, quando dal cantiere ci viene comunicato che l'imbarcazione tornerà indietro con un camion, decidiamo di utilizzare proprio il porto di Sines come base di carico. 

13° tappa: oggi è il gran giorno, mancano infatti solo una settantina di miglia a Lisbona e, visto il buono stato del mare, non ci dovrebbero essere assolutamente problemi. La partenza avviene alla presenza di Josè Manuel il marinaio e di Josè Luis il responsabile della sicurezza del porto, con la promessa che si tornerà per lasciare il gommone alla loro custodia in attesa del trasporto verso l'Italia. Visto le favorevoli condizioni del mare decidiamo di tirare un sol bordo da Cabo Sines a Cabo Espichel tagliando fuori la grande baia di Setubal. Ci vogliono due ore e mezza per doppiare il capo perché, nel frattempo il mare si è alzato proprio sulla nostra prua e dobbiamo navigare prestando molta attenzione. Mi soffermo a guardare Giacomo che se la sta lottando al timone: con tutte le problematiche che affliggono i giovani di questi tempi, vedere il proprio figliolo che tenta di domare l'Atlantico su un piccolo gommone, credo sia una di quelle immagini che ridanno fiducia nell'avvenire. Ormai non ci resta che puntare decisi sulla foce del Tejo per entrare finalmente a Lisbona. Sono le 13.30 quando viriamo decisi sulla dritta e incominciamo a risalire la foce del fiume sulla quale sorge la splendida capitale del Portogallo. Ci vuole quasi un'ora di navigazione in piena planata per arrivare davanti alla sede dell'EXPO; durante il percorso possiamo ammirare tutta la zona che si estende a perdita d'occhio sulla riva sinistra del fiume mentre, sulla lato destro, sorge altissima la statua del Cristo Re. Prima sosta d'obbligo davanti alla torre di Belem una delle più belle costruzioni monumentali di Lisbona datata intorno al 1500; è uno splendido esempio dello stile architettonico chiamato gotico/manuelino.

Poco più avanti troviamo il monumento dedicato alle scoperte geografiche e riproducente la prua stilizzata di una caravella contornata da statue raffiguranti uomini di scienza e di potere che, sostenuti dal famoso Infante Henriquies, favorirono le grandi scoperte geografiche di quei tempi. E' la volta adesso di passare sotto al ponte chiamato "25 de Avril", la cui ardita costruzione tanto ricorda il famoso ponte di Brooklyn. Mentre ci diamo da fare con la macchina fotografica possiamo anche osservare i numerosissimi operai che ne curano continuamente la manutenzione. La navigazione continua offrendo sempre nuovi motivi di interesse visivo ma ormai siamo impazienti di giungere alla meta finale ovvero a questo EXPO 98, per il quale tante miglia abbiamo percorso; e, finalmente ci arriviamo. La vista della grande nave da crociera Italia Prima è quella che per prima -bello il gioco di parole- ci viene incontro; a questa straordinaria immagine si susseguono poi quelle di tutte le grandiose costruzioni che fanno da corona a questa mega manifestazione.

Si, grandiosa è la parola giusta! Diamo una rapida occhiata a tutto l'insieme poi cerchiamo dove poter ormeggiare il King per la notte. Non dobbiamo certo faticare troppo perché appena imbocchiamo i pontili delMarina EXPO l'addetto ci indica subito il posto di ormeggio. Non facciamo a tempo a spiegargli che siamo arrivati dall'Italia con il gommone, che questi sparisce in un lampo per poi ritornare accompagnato dalla responsabile amministrativa del Marina EXPO, signora Grazia Rodriguez; quest'ultima si attiva subito presso l'ufficio di Polizia Marittima per un veloce espletamento delle formalità. Terminata l'operazione c'informa subito che non solo abbiamo l'ormeggio presso la loro sede ma che saremo anche considerati graditissimi ospiti. Un'accoglienza davvero insperata vista la grande quantità di barche di ogni genere presenti nel marina. In un secondo tempo ci viene presentata la P.R. del Marina EXPO, dott.ssa Marina Pereira, con la quale concordiamo una conferenza stampa per il giorno successivo durante cui consegneremo una targa ricordo del nostro viaggio al direttore responsabile dell'EXPO. L'indomani, tra conferenza stampa e susseguente visita ai padiglioni della fiera, la giornata passa in un lampo; siamo veramente soddisfatti sia per la buona riuscita del raid, sia per la calorosissima accoglienza avuta da parte dei responsabili della manifestazione. Unico neo della giornata la sconfitta calcistica degli azzurri contro la Francia. 

14° tappa: ci vogliono un paio d'ore e tanta nostalgia per salutare e ringraziare tutti, poi ritorniamo al gommone, avviamo per l'ultima volta il Suzuki e ci allontaniamo lentamente dalla banchina con in mente l'immodesto pensiero di aver lasciato un'immagine felice d'amicizia e di buona marineria. Nel tragitto di ritorno rivediamo le belle cose già ammirate all'arrivo ma ormai non vediamo l'ora di entrare nuovamente in oceano e raggiungere la tranquilla Sines, punto d'arrivo del raid. La lunga onda atlantica favorisce la nostra navigazione e alle 16.30 possiamo salutare gli amici che ci attendono al porto. Nel tirare il bilancio finale di questa nuova avventura, non possiamo fare a meno di ringraziare sia sua maestà il Leone, sia il dott. Vento che, impietositi forse dalla giovane età di uno di questi due matti che vanno in giro per il mondo a bordo di un canotto, hanno voluto aiutarli offrendoci condizioni meteo veramente ottimali.

I numeri del raid

Tempo di navigazione: 14 giorni

Distanza percorsa: 1.530 miglia

Navigazione effettiva: 98 ore

Velocità media: 15.5 nodi

Consumo totale: 1.180 litri

Consumo parziale: 12 litri/h

I protagonisti del raid

Il gommone

La cosa che più ci ha impressionato del King 600 sono le doti di navigazione; questo battello si comporta davvero bene con qualsiasi tipo di mare ed offre una sensazione di "scorrevolezza" della carena difficilmente riscontrabile in battelli di pari misura. Motorizzato con il Suzuki DF 70 a 4 tempi ha offerto buone prestazioni in ogni circostanza, palesando anche una velocità (27 nodi) di tutto rispetto. Il meglio di sè il King lo offre con mare grosso da prua, forte di un corretto equilibrio dei pesi; raramente stacca la parte poppiera dall'acqua e, anche quando questo avviene, la ricaduta è sempre morbida e con la giusta inclinazione. Ampi i gavoni, in special modo quello poppiero, e buona la ricettività della consolle di guida. Unico neo l'esiguo spazio tra consolle ed il sedile di guida che rende piuttosto scomoda la guida in piedi. Al termine del raid il battello si presentava visivamente nelle identiche condizioni della partenza; non si è reso necessario alcun intervento di ripristino della pressione dei tubolari.

Il motore

Difficile trovare aggettivi per definire questo Suzuki DF 70 a 4 tempi perciò ci atterremo scrupolosamente ai fatti: il suo primo avviamento è avvenuto ad Alassio in occasione della partenza e da quel momento ha spinto per quasi 100 ore un gommone il cui peso reale superava i 1.200 kg, ad una media di oltre 15 nodi e consumando circa 12 litri/h, senza denunciare il pur minimo inconveniente. L'unico tipo di controllo effettuato periodicamente (ogni due giorni) è stato il livello dell'olio che, peraltro, non ha necessitato di alcun rabbocco. Bello esteticamente, silenziosissimo, parco nei consumi e pulito ecologicamente, cosa si può chiedere di più ad un fuoribordo? L'unica avvertenza è quella di ontarlo su imbarcazioni che non soffrano il peso sullo specchio di poppa perchè i suoi 150 kg non sempre possono risultare graditi.

 

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